domenica 23 settembre 2012

Woody Streaming Megavideo



Woody Allen il premio Oscar, Woody Allen il comico televisivo che ha boxato con un canguro, Woody Allen il clarinettista, lo sceneggiatore senza pari, il regista che voleva rifare Bergman e Fellini, l'attore e il direttore d'attori. Il documentario di Robert B. Weide sul regista newyorchese prova a fare il punto su una carriera strabiliante e lo fa partendo dall'uomo Allan Konigsberg, dal suo quartiere di Brooklyn, dal cinema dietro l'angolo che non c'è più, sostituito da un centro medico senza charme, dalla macchina da scrivere, la stessa da quarant'anni, dai ricordi di famiglia, brevi ma preziosi, della madre e della sorella.
Cut cinematografico di un'opera dalla durata doppia, con aspirazioni di summa biografica, Woody gode della disponibilità a parlare di Allen stesso, per quanto sempre circoscritta al minimo indispensabile, a volte quasi affaticata, perché le interviste non sono mai state di suo gradimento – dice - così come il red carpet è sempre stato una tortura: troppo lontano dal mondo reale, ingannevole, insensato. Pur costretto a galoppare tra i quaranta titoli nel minutaggio a disposizione, e dunque a sorvolare su qualcosa e a sacrificare molto, Weide segnala delle cesure importanti, che Allen commenta quasi minimizzando, ridimensionandone senza spocchia la portata. Io e Annie, la prima commedia che parla dell'amore degli adulti e riscrive all'improvviso l'universo di questo genere cinematografico, che dopo quel film non sarebbe mai più stato lo stesso, l'azzardo drammatico di Interiors, la freddezza che ha suscitato l'incompreso Stardust Memories, l'incontro con Mia Farrow, attrice dalla versatilità incredibile e fino ad allora mai esplorata, La Rosa purpurea del Cairo che esplicita il cuore della poetica del regista, ovvero il rapporto tra la vita reale e quella immaginata, creata artisticamente, l'architettura di Crimini e Misfatti, il successo inaudito di Midnight in Paris.
Ne escono due immagini, contraddittorie o forse no: da un lato quella di un bambino allegro che la scoperta della mortalità ha depresso per sempre, dai cinque anni in poi, e dall'altro quello di un lavoratore instancabile, che nonostante non vedesse un senso non ha mai smesso di cercarlo, denunciarlo e raggirarlo. Ne esce soprattutto un “metodo Woody”, vincente e forse l'unico possibile per chi dell'arte ha un bisogno letteralmente vitale e non accessorio. Un metodo che consiste nel fare senza sosta, senza perdere tempo, con l'unica condizione che non ci siano condizioni, ovvero che il controllo del regista sul suo prodotto sia totale e che egli possa considerarsi il responsabile di ogni merito e di ogni colpa. Un metodo raro.


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